IL MIO APPROCCIO
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Nella terapia della Gestalt la tecnica è secondaria poiché quello che conta di più è la presenza del terapeuta. Si possono usare mille tecniche sofisticate ma non succede nulla, non si trasmette nulla, mentre invece se c’è presenza, una presenza umana di accettazione delle persone, accade qualcosa.”   (Sergio Mazzei)

La Psicoterapia della Gestalt ad orientamento fenomenologico-esistenziale

Fenomenologia è teoria della conoscenza attraverso il sentire dove il fulcro principale non è lo studio degli oggetti ma dei fenomeni così come appaiono alla coscienza. Il mondo diventa un insieme di fenomeni che si danno alla coscienza e ai quali la coscienza si rapporta come ad oggetti che essa intenziona nei propri atti; si tratta di guardare le cose in relazione alle esperienze vissute che condizionano la nostra rappresentazione, percezione ecc.

Noi viviamo in una cultura razionalista, fatta cioè di significati, ma sono due le strade che portano ad una vita di qualità e sono il significato e il senso; il significato è quello che si capisce, il senso è quello che si sente. Capire una cosa non significa sentirla: Paolo Quattrini fa l’esempio dell’Amore che non è fatto di concetti ma di esperienza. Sentire diventa strumento di conoscenza che serve per allargare, espandere, sperimentare il senso della vita.

La persona in terapia cerca di sviluppare la sua esistenza ma questa è unica e inimitabile per cui non può esserci un modello da seguire come in altri approcci psicoterapeutici; la persona va aiutata a sviluppare il suo personale vissuto dell’esperienza che da “disfunzionale” e “di cattivo sapore” viene reso più “funzionale” e “di buon sapore”.

Esistenzialismo vuol dire che il terapeuta non cerca di capire come una persona è ma come esiste, come è nel tempo, come muta, come interagisce ecc. Le cose sono, non le persone.

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La parola entità non ci corrisponde: c’è ovviamente un senso di noi stessi nel tempo, la famosa identità, ma noi esseri umani siamo in continuo divenire, in continua trasformazione e abbiamo sempre qualcosa da conoscere di noi stessi e qualcosa da dover accettare.”  (Anna Rita Ravenna)

Come psicoterapeuti guardiamo la relazione della persona con le altre persone; al terapeuta è richiesto di stare nella relazione con l’altro e questa relazione è quella che viene chiamata relazione soggetto-soggetto dove il conoscimento è intersoggettivo (si parla di circolo ermeneutico dove c’è un continuo rimbalzo tra i due: ad esempio il terapeuta può dire “quando tu dici questo…io sento questo…che effetto ti fa quello che sento?” e così via). Le due polarità costituite da paziente e terapeuta (tesi e antitesi) sono rivolte verso un terzo elemento che è altro dai due ma li comprende entrambi, si dice che li trascende, in una sintesi creativa orientata sui comportamenti (come spiega bene Paolo Quattrini questo aspetto della relazione è fondamentale).

La psicoterapia accompagna le persone da un’attività di compenso ad una di trasformazione e questa richiede fantasia e grossa attività di associazioni libere. Lo psicoterapeuta si sposta dal dover far succedere al dare all’altro la capacità di far succedere.

Lo psicoterapeuta non è inventore ma creatore: parte da quello che c’è (e questo richiede un processo di consapevolezza da parte del paziente) e lo trasforma in modo creativo (nesso tra consapevolezza e creatività che caratterizza questo approccio) con il contributo del paziente che co-costruisce con il terapeuta in un processo di continua scelta (il libero arbitrio è un altro pilastro della gestalt) e di presa di responsabilità relativa all’assumersi il rischio delle conseguenze delle proprie scelte (responsabilità come response ability: sentendo quello che sento…penso… e scelgo di fare…). Quello che ne risulta dovrebbe avere un buon sapore per la persona e migliorare la sua qualità di vita. Per arrivare a questo il paziente fa esperienza, in seduta, dei diversi modi di stare al mondo.

Il percorso di formazione per un gestaltista dura una vita ed è una scelta di vita, è scelta di vivere nella realtà con il peso della responsabilità che ci fa scegliere cosa vogliamo fare di quello che abbiamo; è capire che ogni scelta implica una rinuncia.

Strumento di lavoro per un gestaltista è se stesso, nella misura in cui si è disposti a mettersi in gioco nella relazione con l’altro. Un gestaltista fa pratica continua del proprio operato come psicoterapeuta per cui non sarebbe possibile essere in un modo all’interno del proprio studio e in un altro fuori (come sottolinea Anna Rita Ravenna).

Come lavoro

Mi avvicino alla persona con delicatezza, accolgo con tutto il rispetto possibile la straordinarietà del suo mondo interno, e sono grata che mi stia donando qualcosa di prezioso, la sua intimità. La immagino come un castello medievale su cui io terapeuta devo arrampicarmi e cercare di entrarvi; una volta dentro, posso accendere camini, aprire porte e finestre…non certo abbattere il castello.

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Ho imparato che lo psicoterapeuta è un architetto dell’anima e questo richiede una grossa dose di creatività; si restaura la casa delle persone in modo che ci vivano meglio.”